Luogo / Place | Spoleto
Data / Date | 2019
Spoleto e la Rocca. La Rocca e Spoleto. È questo il momento storico di fondere lo spessore dei diversi mondi in un unicum in grado di valorizzare la storia celebrando un’idea contemporanea di cultura.
La Rocca è di per sé una città nella città; anzi, una città a lato di una città. Un organismo nato in modo autoportante che l’incedere della storia ha tramutato (se non ‘trasmutato’) in un sistema di spazi tanto apparentemente di margine quanto potenzialmente centrale e capace di sublimare in un solo luogo una moltitudine di aspettative, attività, culture, suggestioni. Mondi, appunto.
Quali sono i mondi della Rocca? Quello del cortocircuito rinnovabile tra storia e contemporaneità; quello dei percorsi di terra e d’aria (dalla corte alle torri), finalmente integrabili in unico sistema; quello della dicotomia tra artigianato e arte; quelli dell’altrettanto evidente dicotomia tra potere pontificio e potere laico; quella, infine e non meno importante, della città e dei suoi bordi, individuando nella Rocca una polarità tra urbanità e paesaggio in grado di reinventare i confini della prima e i percorsi di senso del secondo. Questi sono i presupposti narrativi che regolano i principi dell’intervento che proponiamo. La Rocca è un dispositivo della Storia nelle mani della città di Spoleto, capace – se ben utilizzato – di implementare il potenziale attrattivo (e dunque turistico) dell’intero territorio e quello educativo ai principi culturali polifonici e inclusivi che questa terra si fregia di portare avanti da tempo.
L’intero percorso museale si articola in un’alternanza di spazi diversi, in un ritmo esterno-interno dettato dalle torri e dalle due corti, da cui l’impostazione progettuale ha cercato di trarre una gerarchia leggibile. A tale riguardo, le fasi di esplorazione di un apparato spaziale così ricco diventano esse stesse motivo espositivo: il contenitore si trasforma il contenuto ed entrambi si sublimano nel paesaggio.
Il progetto che presentiamo si pone dunque l’obiettivo di tradurre l’opportunità del dialogo tra storia e contemporaneità all’interno di un ‘allestimento poliglotta’, in grado, per rimandi formali e qualità funzionali, di parlare contestualmente a più pubblici, garantendo al tempo stesso accessibilità complessiva e rispetto dell’esistente.
L’intervento presenta diversi gradi di complessità:
- sviluppare, all’interno di un unico percorso fisico, più possibilità espositive e cognitive in modo accessibile e diretto
- permettere una lettura quanto più omogenea in ogni singola sala nonostante la eterogeneità delle opere esposte e dei rimandi alla spazialità degli ambienti
- offrire una molteplicità di supporti, sia volumetrici che bidimensionali, senza snaturare la spazialità delle sale
- governare il legittimo rapporto tra contenuto (e contenitore) storico
La filosofia adottata ambisce a mettere a sistema i punti sopra elencati all’interno di una concezione spaziale che parte da una suggestione: gli studi di Sol Lewitt sulle composizioni modulari, con particolare riguardo alla forma quadrata (per quanto concerne la ricerca sulle Linee) e cubica (per ciò che attiene agli studi spaziali), con le conseguenti varianti e declinazioni geometriche. In questo modo, le linee e i cubi incompleti diventano l’impalcato narrativo comune a tutto l’apparato espositivo.
In particolare, le linee utilizzate sugli elementi verticali diventano la trama modulare –sempre diversa, modulo per modulo, e talvolta assente – per ritmare i pannelli verticali, mentre, i cubi incompleti diventano la misura astratta dello spazio per ogni opera di rilievo ritmando con la loro presenza (o assenza) lo spazio e il campo magnetico di ogni singolo oggetto, posto in tal modo al centro di una scena del tutto propria e, al tempo stesso, obbediente a una regola formale comune.